mercoledì 29 luglio 2015

Quattro anni fa...



Quattro anni fa, ora più ora meno, arrivava la telefonata che avrebbe ufficialmente cambiato gli anni seguenti della nostra vita, confermandoci una partenza e destinandoci ad un posto del mondo che conoscevamo per preconcetti e stereotipi.
Ricordo ancora perfettamente l’atmosfera surreale che ne era seguita: un misto tra felicità, smarrimento, terrore, incredulità. Ricordo la grande adrenalina e la sensazione di vuoto cosmico quando ci si ponevano interrogativi tipo “e ora?”

Ricordo l’intensità di ogni cosa che faceva parte di quel nuovo percorso o che ne veniva risucchiata.
Ricordo la grande quantità di fogli in cui appuntavo ogni minima cosa da fare perché la tabella di marcia era serratissima e non lasciava scampo.
Ricordo le critiche ricevute, le accuse di essere pazzi e incoscienti, la ferita del sentirsi giudicati per una scelta positiva ma tutto sommato difficile.
Ricordo viaggi in macchina in giro per l’Italia alla ricerca di una macchina sicura da portare con noi, per tenerci al sicuro una volta lì.
Ricordo vaccini e bambini stralunati.
Ricordo coincidenze e imprevisti difficili.
Ricordo le mille spese, le camere progettate per accoglierci. Ho ancora quegli schizzi, da qualche parte.

E oggi… oggi suona tutto strano. Un po’ come guardarsi da fuori e rendersi conto che quella lì eri tu e non lo sei più stata.
L’acqua passata sotto i ponti ci ha portato lontanissimi da dove ci aveva raccolti, ci ha fatto attraversare placide lagune e mari in tempesta, insegnandoci a goderci le prime e ad affrontare le seconde.
Ci ha reso più maturi e più coscienti di noi, ha trasformato quella che pensavamo essere una coppia in una vera coppia e lo ha fatto con carezze e con schiaffi duri e secchi.

Se ripenso a quella fra, non mi sembra neanche che mi assomigli poi tanto. Di quei due lì, che si sono guardati smarriti in una calda (pensavano) mattinata di fine luglio di 4 anni fa, a ben guardare non è rimasto poi molto. Li guardiamo con simpatia, e siamo felici di esserceli lasciati alle spalle.

Oggi la fra è alle prese con l’organizzazione di un ritorno insieme facile e difficilissimo e il Marito Paziente è ancora a dispiegare una quotidianità che si esprime in francese, e vi resterà fino a fine anno. Uno strano anniversario, nel ricordare silenziosamente un po’ come tutto è cominciato, con una fra in bilico tra l’euforia di ricominciare e lo smarrimento del lasciare persone, luoghi e cose.
Oggi la fra non si sente in bilico: sa chi è e da dove viene, sa cose che ignorava, vede cose che non vedeva.
Però le piace ancora ricordare quello smarrimento iniziale con tenerezza e indulgenza, e soprattutto con la certezza delle sue nuove consapevolezze. È iniziata un’altra tappa, chissà stavolta l’acqua dove ci porterà…

mercoledì 22 luglio 2015

Prime impressioni da rientro



Ed eccomi di nuovo qui… tornata sul suolo natìo, e per restarci.
Un sensazione strana, rassicurante e terrificante allo stesso momento. La paura di rimettersi in gioco, la consapevolezza di essere una fra diversa da quella che, una freddissima mattina di novembre di tre anni e mezzo fa, aveva preso per mano i due figli piccoli per portarli ad abbracciare il papà e a scoprire un nuovo mondo.

Oggi quei bambini sono più grandi e molto più indipendenti, sanno due lingue e son curiosi della terza.
Tre anni e mezzo, una ventina di cm in più, una disinvoltura incredibile nel viaggiare, un linguaggio a cavallo tra due lingue, una multi etnicità invidiabile. Un enorme Dono, che spero non si perderà nella banalità di una vita con un colore solo.

Temevo molto il rientro e invece… nulla. La mia mente si è difesa pensando alla solita estate italiana, negando il non ritorno: pavento un settembre durissimo con una scuola che non conosco e che non so giudicare o valutare, con una casa diversa e resa più nostra ma non la casa che ci ha visto diventare quelli che siamo oggi.

Mi sento un po’ una disadattata e sempre molto in imbarazzo davanti a chi con un bel sorriso mi dice “dai che bello, è finita! Siete tornati da quel posto, finalmente!” , perché “quel posto” era Casa mia e non un posto che vivevo a forza e con difficoltà, quel posto è il posto del mondo in cui mi sono sentita più libera di essere me stessa di quanto non abbia mai pensato di poter essere qui nel mio Paese. Allora metto su un bel sorriso e dico un timido “già”, ingoiando la ferita del non essere compresa e vado avanti, riservandomi forse un giorno di spiegare ciò che oggi è forse ancora troppo fresco per essere raccontato senza che sembri frutto di un entusiasmo posticcio.

La vita da expat non è più o meno bella di quella nel proprio Paese, è insieme diversa e uguale. La vita, in ogni posto del mondo, ha lo stesso problemi da affrontare, cerchi da far quadrare, lacrime da ingoiare e sorrisi da esibire, ha conquiste e dolori, ha incertezze e dubbi, ha soluzioni e scoperte. Le ha diverse, ma le ha lo stesso.

Uno dei più grandi problemi che hanno gli expat a tempo, come me, come molti altri che ho conosciuto e conosco, è spiegare tutto questo, è rendere comprensibile qualcosa che chi ti sta davanti ha bisogno di incasellare e definire, quando, come ogni cosa nella vita, nulla è così bianco o così nero. Si finisce per banalizzare per rendere comprensibile ciò che sfugge, si cerca un tabellone che renda possibile una partita con chi non ha visto, sentito, odorato ciò che hai visto, sentito, odorato tu. E non è sempre facile. Ed è frustrante.
Si trovano tantissimi interlocutori per i fatti e i racconti, ma le emozioni rimangono sempre inevitabilmente escluse. Forse per paura di essere incasellate in spazi che non potranno mai contenere e rappresentare. Non si può spiegare l’aria, del resto.