mercoledì 28 ottobre 2015

Quando la rete ci sfugge di mano

Era un po' che volevo mettere su carta "virtuale" alcune considerazioni.

Ogni cosa che scriviamo in rete ha un suo peso.
Nell’epoca della rete e del social, non è più solo un discorso di “scripta manent”, quanto di coscienza, rispetto e opportunità.

È e resta vero che chiunque attraverso le sue opinioni o i suoi scritti rappresenta principalmente se stesso, la sua vita, il suo modo di vedere le cose, ma bisogna tener conto che mentre una volta ciò che veniva scritto veniva letto da cerchie abbastanza ristrette di amici, oggi, con l’avvento del social selvaggio, ciò che affidiamo alla rete ha un pubblico ben più vario e vasto.

E questo significa che siamo diventati un popolo di potenziali influencer, opinionisti, commentatori e sociologi. Che le chiacchiere da bar sono fatte su un tavolino ben più accessibile, che i distinguo che si potevano fare attraverso il tono della voce, la risata, lo sguardo, non ci sono più.

Ciò che si scrive, oggi, ha un valore a prescindere, ha possibilità di circolare e diventare opinione riportata e addirittura comune.
A tutto questo si dovrebbe accompagnare un senso di responsabilità che ne tenga conto.

Parlare di un prodotto che non si è provato, per conto di un’azienda, non significa esprimere un’opinione ma fare pubblicità. Parlarne come si fosse provato, poi, è una scorrettezza capace di falsare il mercato e far perdere credibilità a chi invece questa responsabilità se la sente addosso in ogni parola che scrive.
Non è un caso che in questo blog ci siano stati pochissimi post di questo tipo.

Questo fenomeno, per quanto a mio parare pericoloso e deprecabile, è un fenomeno che trova la sua giustificazione nell’errata convinzione da parte di una fetta della blogosfera che basti parlare di un prodotto per essere un influencer, o che basti aprire un blog per guadagnarci.
Tutti i blogger seri che conosco hanno un loro stretto codice etico nell’accettare o meno delle collaborazioni e hanno fatto parecchia gavetta prima, proprio per capire come si gestisce un contenuto commerciale all’interno del proprio blog. E nella quasi totalità dei casi sono nati con lo scopo di condividere qualcosa della vita di chi lo scriveva, a prescindere da tutto il resto.

Ben più grave, e purtroppo abbastanza diffuso anche quello, è il considerare i social come l’equivalente di una chiacchierata tra amici. Esprimere pareri su terze persone, insinuare dubbi, fare ironia di bassa lega, portare avanti polemiche inutili.

In rete ogni cosa che viene messa verrà letta, da tanti, da pochi, e già solo questo dovrebbe implicare un senso di responsabilità immenso.
Se parlo male della persona X, rendendola riconoscibile anche senza avere il coraggio di taggarla, di certo la mia opinione sarà letta dai miei contatti, che aggiungeranno quel tassello all’opinione che loro stessi hanno della persona X. Ma soprattutto, perché mai dovrei parlare male della persona X in rete?

Di recente per esempio mi è capitato di leggere un penoso siparietto tra due persone che conosco (in realtà, a conti fatti, che pensavo di conoscere) e  che abitano ad un piano di distanza nella vita reale. Il penoso siparietto metteva in dubbio la moralità di una persona che conoscono entrambe e che conosco anche io. La metteva in dubbio, in un social, con illazioni o sentito dire, nulla di concreto a ben guardare: non accusavano, ponevano la questione in modo che a chiunque leggesse la cosa sembrasse di un certo tipo.
Se quelle persone avessero avuto un minimo senso dell’opportunità, si sarebbero rese facilmente conto che il loro siparietto non solo era inutile ma che poteva anche essere dannoso, e non poco. Vomitare parole in rete senza curarsi della sensibilità di chi possa leggerle, mi pare solamente un atto cattivo e gratuito, bastardo.

La  cosa che lascia basiti (o almeno ha lasciato basita me) è la facilità con cui si possa istillare il dubbio in altre persone senza avere nulla di concreto in mano, come si possa essere così noncuranti nei confronti delle possibili conseguenze nella vita di chi legge.
La calunnia è un venticello, si diceva.

La rete è vasta, nel bene e nel male.
Ed è anche una rete in cui qualcuno può rischiare di trovarsi imbrigliato suo malgrado.
La rete va saputa gestire, non è lo sgabuzzino delle scope dove mettiamo tutto ciò che ci capita a tiro.
Non è il posto per l’opinione che non ha fondamento, come quella data per illazione o per sentito dire, che si tratti di una persona o di un detersivo.

Prima di scrivere, bisognerebbe pensare a ciò che lo scrivere implica.
Anche perché la rete è come un boomerang… prima o poi ti torna indietro.
Scrivere implica una responsabilità nei confronti di chiunque ti legga, nel bene e nel male.
Forse è arrivato il momento di interrogarsi proprio su questo, prima di appoggiare le dita su una tastiera e premere “invio”.

5 commenti:

  1. Brava Francesca, un bel articolo, grazie per la riflessione:-))

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    1. Grazie a te per averla letta! :)
      Io rimango sempre abbastanza sconvolta dalla noncuranza con cui le persone trattano la rete, un po' come fosse la piazza del paese.
      E' di fatto una delle cose più pericolose, dopo i veri e propri reati ovviamente, che possono verificarsi se non si tiene conto dell'opportunità della condivisione, secondo me.

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  2. Questo post è perfetto per la mia rassegna #tanaliberatutte.
    La inserisco in quella della prossima settimana.
    Ecco di cosa si tratta... http://www.lemcronache.it/tanaliberatutte-4/

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