venerdì 30 ottobre 2015

Compagni di scuola



Organizziamo?
Organizziamo.

Ed è stato così che qualche settimana fa, è stata organizzata una cena con i compagni del liceo, a vent’anni di distanza dall’esame di maturità, per alcuni l’ultimo esame, per altri il primo di una lunga serie.

Rivedere persone con cui hai diviso una quotidianità fatta di compiti di classe, lezioni, il libro lo porti tu?, oddio speriamo che non mi chiami (e ovviamente chiamava proprio te), può significare ritrovarsi davanti ad uno specchio che ti riporta indietro. Lo specchio di quello che di te è restato nel ricordo degli altri, lo specchio di quello che tu ricordi degli altri.
Per questo ci sono andata con insieme un misto di felicità e timore… e se ora come allora mi fossi sentita inadeguata, una non-parte di loro? Se attraverso i loro occhi o le loro parole avessi messo a fuoco qualcosa di brutto di me per il quale non mi ero ancora condannata (strano eh, ma possibile)?

Gli anni del liceo, soprattutto dal terzo in poi, sono stati uno dei peggiori periodi della mia vita. Una maschera di sorrisi quando volevo solo fuggire via da lì, parole che non riuscivo a fare uscire, necessità di sentirmi meritevole di ogni cosa, dall’attenzione al sorriso, alla stima.
Ricordo quegli anni come un abisso di solitudine e incomprensione. Non sapevo tirare fuori il demone, non sapevo gestirlo e lui cresceva, e io con lui.

La massacrante sensazione di non meritarsi la felicità, come non fosse uno stato emozionale bensì un premio, che mi lasciava sempre indietro.
E quando ero davvero felice, mi sentivo in colpa di esserlo: avevo sulle spalle uno sbaglio enorme, non potevo meritarmi di essere felice.
Anni di mal di testa e paura: di essere lasciata sola, di sbagliare, di ferire, di essere ferita.

Avevo una tale disistima di me che quando qualche professore iniziò a mostrare stima nei miei confronti, mi ci attaccai come un’ancora di salvezza. In serate nere, qualcuno di quei prof mi salvò la vita.
Ogni cosa ha il suo prezzo, anche se lo capisci dopo. Il prezzo che pagai io fu la lontananza dai miei coetanei, cui sembravo probabilmente una stronza, presuntuosa e lecchina. Ci stavo malissimo eh, ma tra i mali scelsi quello che all’epoca mi sembrava il minore e tra la solitudine e il non sentirmi degna, scelsi la prima.

Insomma un periodo talmente brutto che solo a scriverne mi è tornata una stretta allo stomaco (sì, somatizzo giusto un filo), perciò alla cena sono andata come se andassi ad un esame.
Ed ho avuto una delle più belle smentite della mia vita.

Esperienze diverse, scelte diverse, vite diverse… ma finalmente età uguali.
Quelle età che ti permettono di ridere dei ricordi e degli aneddoti ma anche di fare riflessioni e discorsi più seri.
Quelle età che ti permettono di confrontarti senza niente altro che la voglia di farlo, senza avere una quotidianità a stretto contatto a legare sì ma anche a dividere.

Ecco, io questa bella sensazione me la voglio ricordare, per tutte le volte in cui mi sentivo odiata e forse non lo ero; per tutte le volte in cui mi sentivo nel posto sbagliato e magari ero in quello giusto e non riuscivo a vederlo.
O forse per colorare, vent’anni dopo, pezzi di un puzzle rimasto in bianco e nero.

1 commento:

  1. Anche per me gli anni del liceo sono stati terribili e le mie compagne di classe...oh mamma...a parte un paio non ne sento più nessuna, nè probabilmente vorrei sentirle. Credo che non potrei mai sentirmi e mostrarmi a quelle persone come sono sul serio...
    Ma magari sbaglio e sarebbe anche per me una piacevole smentita chi lo sa...

    RispondiElimina