giovedì 20 giugno 2013

Da sola


Un periodo italiano, da sola.
Gonfio di emozioni, di cose dette, di paure pesanti, di riflessioni e dell’improvvisa consapevolezza che quando ti lasci indietro gli amori della tua vita all’inizio ti spaventa il saperti lontana da loro e poi scopri che il loro essere lontani da te ti massacra e rende tutto più ovattato, sfumato, meno netto e bello.
La scoperta di una tua dipendenza assoluta, del fatto che cammini con il perimetro di un’assenza al fianco quando i tuoi figli sono in un dove distante spazio e tempo importanti.
Una zia lontana che rimane solo per te, per salutarti, parlarti, chiederti. Che ti rende speciale e ti scalda, in un modo che non sai spiegare ma forse non è importante farlo.
Un amico che ha trovato la sua strada e una compagna con cui percorrerla; che ha messo un punto esclamativo dove ha passato la vita a curvarne di interrogativi forse per paura di definirsi o limitarsi. Alla fine dell’ultimo interrogativo, giorni fa ha messo il punto. E ha detto una sillaba importante, su se stesso prima che sul resto. Ed io ero lì a ricordarmi delle chiacchierate notturne, degli sfoghi, delle lacrime, delle risate di cuore, delle parole pesanti e sincere, delle confidenze, degli scherzi, del nostro essere stati qualcosa di bello e di essere, in qualche modo, forse poco forse tanto, cresciuti insieme.
Ovviamente ho iniziato a piangere che non eravamo neanche in chiesa.
E quando ho letto la mia preghiera, quella che mi aveva chiesto di scrivere e l’ho letta guardandolo negli occhi e lui piangeva e io pure, ho capito che è solo l’inizio di un altro capitolo, più adulto e consapevole della nostra amicizia e non ho provato nostalgia per la nostra amicizia passata ma speranza e gioia per quella che costruiremo da ora in avanti.
E poi persone che non vedevi  da una vita e ti pare ieri e l’affetto è davvero immutato e son passati anni e figli ma siamo sempre lì a farci battute, a ridere e anche a parlare di cose serie. Persone che tornano a concedersi di essere felici insieme, persone che si rendono felici con la consapevolezza che l’amore supera il limite del genere, un’amica che sembra una e invece sono splendidamente due. Belle occasioni, belle persone. A volte dolosamente o superficialmente lasciate indietro, ti accorgi. Fortunatamente non troppo indietro.
C’è chi ti legge, chi chiede ad altri, chi fa il tifo per te, chi si preoccupa per questa tua quotidianità così difficile. E tu sai che un pezzo del tuo cuore l’hai lasciato anche lì, in quella che non potresti mai definire “casa” ma è lo stesso un luogo importante dell’esistenza. Un luogo senza luogo.
E su tutti la mia famiglia, che ha saputo rendere i momenti pesanti più leggeri, ha saputo interpretare bisogni e paure e ci ha costruito la sua quotidianità intorno.
Un viaggio da sola, tante scoperte, tante nostalgie e tante conferme.
Scrivo questo post sull’aereo che mi sta riportando in Africa, dove, nonostante tutto, voglio stare. Dai miei figli, dall’uomo che amo, nella mia casa, dove tutto quello che ho scritto e vissuto sopra trova completezza e compiutezza. Dove torno con una nuova consapevolezza di quello che la vita mi tiene in caldo in Italia, di quello che posso o che non posso avere da questa realtà quotidiana, delle mie paure e delle mie dipendenze.
Dipendenze sane, le definiscono amore.

lunedì 10 giugno 2013

distacchi e gradini

Doveva essere una boccata d'aria e invece alla fra le è presa male, a sto giro.
S'è lasciata indietro i patati e il Marito Paziente e se n'è venuta sola soletta sul suolo natìo per partecipare, venerdì, al matrimonio di Amico Fraterno (che è una delle tre persone, famiglia esclusa, per cui la fra prende in considerazione due voli intercontinentali in meno di 10 giorni).
E niente, stavolta è stato pesante.
Sapersi lontana, di un lontano che significa quasi due giorni tra organizzazione e viaggio, dai suoi figli è stata una cosa pesante. Ma così pesante che, nonostante il bisogno di staccare e la bellissima occasione, alla fra era passata la voglia di partire.
Poi si è resa conto che la vita è fatta di distacchi. Inizia con un distacco, finisce con un distacco e per ogni fase di crescita ce ne sono di più o meno grandi. Alla fine si cresce per autonomie conquistate o concesse.
Questa, è evidente, è stata un'occasione di crescita solo per la fra: i patati sono relativamente abituati all'idea che mamma sia lontana, è capitato che loro fossero dai nonni e noi, o anche solo io, fossimo alla Terra di Mezzo ma soprattutto i patati non hanno alcun concetto della distanza sia nell'obiettività di una misura fisica che a maggior ragione nel concetto astratto di distanza in termini temporali.
Invece la fra ha piena coscienza di entrambi gli aspetti, per questo non s'è voltata dopo aver salutato... altrimenti sarebbe ancora lì.
Un altro gradino da cui guardarsi intorno, un altro punto di partenza della propria genitorialità.
Altri confronti con se stessi e i propri limiti.
Altre sfide, altre paure.
Non si finisce mai di stupirsi di poter e dover crescere ancora.


martedì 4 giugno 2013

Adeguarsi

Ieri ero... arrabbiata, furiosa, scazzata, delusa.
Delusa da un posto dove, per quanto io abbia deciso di viverci bene, c'è sempre qualcosa che supera il mio personale limite dell'accettabile.
Generalmente va così: la prima volta che succede qualcosa che trovi assurdo ti stupisci, la seconda ti arrabbi, la terza ti scoppia il fegato, dalla quarta in poi ci ridi su.
Però ci son cose che proprio non vuoi, oltre che non puoi, riderci su. E una di queste è quella che è successa ieri.
E la cosa grave è che non ho modo di difendermi da tutto questo. Se andassi a parlare con la maestra o con la direttrice potrei ottenere solo il geppettiano "oui oui", magari in forma più articolata... ma nella sostanza resta che loro son fatti così e TU devi adeguarti.
Devi adeguarti all'idea che il tuo tempo non valga nulla e in una struttura privata tu debba aspettare anche 1 o 2 ore un medico (in Italia gli ribalti lo studio, e ne hai tutte le ragioni); devi adeguarti a che ordini una cosa e te ne portino sistematicamente un'altra; devi adeguarti ai prezzi diversi.
Devi adeguarti a tutto.
Certi giorni ti riesce, altri giorni vorresti solo avere del napalm.
Chi sta qui da tanto tempo mi dice che quando non ce la fai più e tutto inizia a sembrarti insormontabile, è ora di prendere l'aereo e tornare in Italia per prendere una boccata d'aria.
Quell'Italia che bistrattiamo tutti ma dove c'è certezza del diritto, dove il tempo ha un valore, dove il prezzo non dipende dal colore della pelle di nessuno, dove nessuno ti chiede 500€ di caparra o la tesserina dell'assicurazione per visitarti nel pronto soccorso.
Quell'Italia che a me manca tanto quando vedo mio figlio avere dei sensi di colpa per desiderare un momento di coccole che una maestra senza alcun titolo gli ha inculcato sia sbagliato.
Ci sono giorni di rabbia e delusione, ieri era uno di quelli.
Niente di più, oggi ho già meno rabbia, domani ne parlerò senza aver voglia di ammazzare con le mie mani quell'essere. Che poi, maestre così magari ce ne sono anche in Italia, come da ogni parte del mondo... ma in Italia hai organismi di tutela che qui non hai e non avrai mai.
E' questa impotenza che ti distrugge.
E ti fa ringraziare ogni giorno per avere un posto più civile e giusto in cui tornare.

lunedì 3 giugno 2013

Oggi va così.



Oggi la fra è incazzata. Ma di molto, incazzata.
Oggi la fra sta lottando contro una parte di sé, quella forse un po’ anche razzista, che sta diventando intollerante nei confronti di chi a casa propria le impone un modo di essere e quando viene a casa tua cerca di dirti che se non ti adegui al suo sei pure razzista.
Ecco, ma anche no.
Quando vieni a casa MIA, ti pulisci i piedi sullo zerbino e chiedi permesso, come io ho fatto a casa tua.
Perché io non pretendo nulla da te, a casa tua.
Sono costretta ad accettare che tu non sappia fare che poco più di un cazzo, che tu non abbia voglia, soprattutto, di capire come fare le cose meglio (con un “meglio” oggettivo, evidentemente), che tu mi perculi e a ogni domanda risponda “oui oui” anche se non hai capito una minchia (tanto a dimostrare quanto delle mie esigenze te ne freghi poco), che tu faccia sempre come cazzo te pare e di quello che ti dico te ne freghi, che per te io sia una vacca da mungere e poco più, che le cose nei mercati mi costino il doppio, almeno, perché sono bianca.
Sono costretta ad accettare che senza preavvisarmi, né tantomeno avermi chiesto il permesso,  abbiano somministrato a mio figlio il vaccino antipolio in gocce, così en passant. L’ho saputo dopo.
Sono costretta ad accettare che una stronza maestra di merda abbia convinto mio figlio piccolo che ricevere più di un bacio da mamma al momento in cui ti lascia a scuola sia sbagliato. Cioè se voi, stronzi, non coccolate i vostri figli, li mandate ovunque con le nounou, non li baciate e ve ne curate poco, sono ricchi cazzacci vostri. Noi italiani i nostri figli li cresciamo in maniera diversa, li cresciamo a coccole e baci e non deve venire una nera che fino all’altroieri raccoglieva patate e non ha mai studiato né letto nulla di pedagogia a dire a mio figlio come si deve sentire. A farlo sentire in colpa perché ha il sacrosanto bisogno di cinque minuti di coccole prima di essere lasciato in una classe dove è l’unico italiano, quasi l’unico bianco e sicuramente diverso da tutti gli altri.
E mi dicono pure che dovrei sentirmi una merda quando dico che io, a sta gente qui, che poi son tutti uguali eh, non voglio sia data la cittadinanza.
Già mi sfruttano a casa loro, devo farmi sfruttare pure a casa mia?
E ma anche no.
E se chi legge pensa che io sia veramente razzista, lo invito a farsi diciamo due anni in Africa con famiglia al seguito, senza “missioni” (che sono ambienti “protetti”, in un certo senso), da comuni cittadini.
Poi ne riparliamo, eh.